Tumore al seno e recidive

Il pericolo di recidive e metastasi può presentarsi anche dopo 15 o 20 anni dal primo tumore al seno. Chi sono e cosa dovrebbero fare le pazienti più a rischio che le cellule cancerose si risveglino?

Rude awakening: un duro risveglio

In una minoranza di donne con tumore al seno, che hanno scoperto la malattia alle sue fasi iniziali e sono state curate con successo, alcune cellule cancerose possono restare dormienti per diversi anni. È stato definito duro risveglio perché quando si verifica, magari dopo 10 o 20 anni di “sonno”, la ripresa attività delle cellule cancerose è spesso “rude”, letale rapidamente. Finora non se ne capivano i meccanismi, ma la ricerca sta facendo progressi.

Chi è a rischio di ricaduta

Si possono definire guarite tutte quelle donne con una diagnosi molto precoce, con tumori piccoli senza interessamento dei linfonodi alla diagnosi, con elevata sensibilità alla terapia ormonale e un basso indice di proliferazione (ovvero le cui cellule cancerose si moltiplicano lentamente e poco). Nel caso di tumori a basso rischio, piccoli, molto sensibili alla cura con ormoni, con bassa proliferazione di cellule cancerose, la sopravvivenza delle pazienti è superiore al 95%. Il pericolo di recidive, anche a molti anni di distanza, riguarda invece le pazienti che hanno alla diagnosi una neoplasia di dimensioni più grandi, con più linfonodi già interessati dalla malattia e un alto indice di proliferazione.

Come si spiega il letargo delle cellule

La conoscenza della biologia delle cellule residue dormienti dopo la terapia adiuvante è tuttora molto limitata: ci sono più fattori da tenere in considerazione per capire perché e come alcune cellule tumorali che sopravvivono ai trattamenti anticancro si annidano in una nicchia, dove rimangono dormienti per decenni per poi improvvisamente risvegliarsi. Se uno qualsiasi di questi fattori cambia, il “letargo” viene disturbato e le cellule cancerose si destano bruscamente, iniziando lo sviluppo di malattia metastatica.

Quali sono i controlli necessari

Tutte le donne con diagnosi di carcinoma mammario dovrebbero sottoporsi, a vita, a una mammografia annuale e a un’ecografia mammaria e dei cavi ascellari semestrale. Tutti gli ulteriori esami si richiedono per monitorare eventuali tossicità dalla terapia ormonale o in accordo a segnali clinici (dolori, alterazioni degli esami ematici, sintomi respiratori o di altro tipo) che ci inducano ad approfondire con indagini mirate sugli organi dove segni e sintomi si manifestano.

Quando continuare la terapia ormonale

Prolungare la terapia ormonale oltre i 5 anni è indicato solo in quelle pazienti con un maggiore pericolo di recidive: tumori più grandi alla diagnosi, molti linfonodi metastatici, alta proliferazione. Il “costo” da pagare è un maggiore rischio di osteoporosi e cardiovascolare, oltre a maggiori effetti collaterali quali vampate notturne e dolori articolari (che variano da soggetto a soggetto). Una terapia intermittente sembra essere gravata da minori effetti collaterali. I pro sono legati al minore rischio di recidiva locale del tumore. Ci sono poi studi che stanno valutando se estendere l’ormonoterapia prevenga o meno le metastasi, e quindi porti benefici nell’allungare la sopravvivenza delle pazienti: ma è presto per poter dare risposte in questo senso.

Stili di vita per ridurre il pericolo di recidive

Una raccomandazione importante per le pazienti è evitare il sovrappeso e un’alimentazione che aumenti il rischio di sindrome metabolica. L’obesità, infatti, riduce l’efficacia della terapia ormonale, in particolare quella degli inibitori delle aromatasi. Diversi studi poi hanno dimostrato chiaramente che l’esercizio fisico, inteso come “mantenersi in forma”, mantiene e migliora la salute muscolo-scheletrica, riduce il rischio metabolico e cardiovascolare, e indirettamente dà un impatto sulla migliore tollerabilità di alcune terapie ormonali.


Fonte: corriere.it

Loading

Condividi questo articolo